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maraviglia se non s’avvidero che certe parolelle puramente fiorentine o del contadiname di Fiesole e di Mugello, non s’avevano a considerare come pezzi della lingua universale d’Italia, di quella lingua che debb’ essere la lingua d’ogni nostro scrittore? e, quel che pur è peggio di tutto il resto, se non si fecero coscienza di ricogliere pe’ chiassi e pe’ postriboli della cittá loro tante parolacce sporche, canagliesche, infami infamissime? Questa, questa, signor conte, questa era la crusca che doveva essere separata dalla farina da que’ barbuti patrassi, che senza sufficiente diritto si crearono di propia autoritá sovrani d’una lingua appartenente in comune ad un popolo cosi numeroso, qual è quello che abita dall’orlo sino alla punta di quel bellissimo stivale chiamato Italia! Non è però ch’io voglia, con questo mio dire, far intendere a’ miei paesani che le piú belle ricchezze della lingua d’Italia non s’abbiano a cercare nella Toscana, e specialmente in Firenze, e piú specialmente ancora nel vocabolario della Crusca. Io concedo che nelle cittá di Toscana, e massime in quella di Firenze, si parlano de’ parlari senza paragone piú corretti, piú vaghi, piú eleganti e piú scrivibili che non nelle cittá del Piemonte, del Genovesato, della Lombardia, dello Stato veneto, della Romagna, del regno di Napoli e d’altre parti d’Italia. Io concedo altresi, e senza la minima difficoltá, che il vocabolario della Crusca è il piú ampio registro alfabetico da noi posseduto delle parole che debbono entrare nella composizione della lingua universale d’Italia, vale a dire della lingua da adoperarsi nello scrivere i nostri libri. Ma con pace d’ogni toscano e d’ogni fiorentino e di ciascun’ombra (ora che sono tutti morti) di quegli accademici che si compilarono quel registro, io dico che quegli accademici e i toscani tutti, senza eccettuare né fiorentini né sanesi, dissero e dicono molto male quando dissero e dicono che nel loro paese stette e sta unicamente di casa quella lingua che debb’essere adoperata ne’ libri nostri; imperciocché le lingue che si debbono adoperare nello scrivere i libri delle genti non hanno ad essere dialetti particolari di questa o di quella cittá, ma debbono veramente essere lingue universali