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secolo in cui viviamo e m’aspetto bene che piú d’uno e piú di quattro saranno o pretenderanno essere innamorati di me, tosto che fien passati questi pochi giorni di sposereccio tumulto e tosto che sará calmato quel rabbiosetto amore, che per un qualche di agiterá i nostri due cuori. So che piú d’uno de’ vostri piú sinceri e piú cordiali amici non lascerá bentosto fuggire opportunitá veruna di dirmi in privato cose dolci, cose lusinghiere, per indurmi bellamente, e un passo dietro l’altro, a rompere la matrimoniai fede; e so che assai pochi di questi vostri garbati cavalieri e gentiluomini di Cesena (*) si faranno scrupolo di rubarvi l’affetto della vostra sposa e di contaminarvela, potendolo, e di guastarvela tutta da capo a’ piedi. Uno verrá via con parolette umilmente inzuccherate; un altro con un aspetto languidoccio e con un girar d’occhi mezzo moribondo; questi procaccerá farmi accettare un dono dietro ad un altro dono, quello un passatempo dietro ad un altro passatempo. Chi cercherá insinuarsi nell’animo mio con de’ discorsetti alquanto liberi, chi con delle moderne filosofie e chi con altri e poi con altri furbeschi e niquitosi modi e maneggi. Io però starommi salda, sposo mio bello, salda come una torre di bronzo, a tutti que’ preveduti attacchi, e non soltanto sfuggirò a mio potere la compagnia e la vista di chiunque vorrá solo far cenno di corrompere l’onestá mia; ma quando la sera avremo entrambi il capo sul guanciale, vi farò noti tutti i raggiri e tutti li stratagemmi di que’ futuri furfanti, quando però mi diate previamente parola, come so che farete, di non farne giammai il minimo risentimento e di ridervene solamente meco le ore e le ore. Siccome però il dimonio è sottile e la carne fragile e il desiderio di vendetta in cuor di donna potentissimo, sará necessario che voi, signore sposo, cooperiate puranco dal canto vostro a conservare la mia illibatezza, con fare anche voi qualche cosa per una moglie che in questi primi tocchi di matrimonio (i) Cittá della Romagna.