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LETTERA QUARANTACINQUESIMA

di Francesco Mecci a Felice Giardini

[D á argutamente novelle di alcuni fatti d’arme della guerra de’ sette anni.]

Io vi sono obbligato, Giardino mio fioritissimo, del vostro avermi scritto malgrado quel tanto freddo che vi fa far pepe delle dita, malgrado que’ vostri tanti piaceri villerecci e malgrado que’ tanti vostri desinari che non finiscon mai; né mi reco a piccola grazia la grazia che mi fate di continuarmi al solito il mio po’ d’alloggio ne’ vostri affetti, considerando come sempre siete circondato da tante belle, pendenti il mattino e la sera, ma la sera specialmente, da quella tanta dolcezza di cui le vostre mani sapientissime sono si liberali. Quel signor milordo che mi nominate non m’è del tutto sconosciuto, ricordandomi assai bene d’ averlo visto in casa vostra due volte, se non tre. Quando mi s’affaccerá colla vostra lettera, farò quanto potrò fare per metterlo in istato di leggere animosamente l’ Ariosto, il Tasso e gli altri nostri poeti. E che non farei per compiacervi, signor Felice, ché mi lascerei anco rodere un ginocchio da Cerbero cane? Posso dirvi di piú? Qui le novelle di guerra noi ce le trangugiamo con tanta fretta che ne siamo quasimente strozzati. Dopo la bella battaglia di Minden, si dice che gli annoveresi e gli assiani non abbiano fatt’ altro che pascersi di carne franciosa; anzi aspettiamo che ci mandino certi grandissimi pasticci, non giá di capponi o di pippioni, ma sibbene di marescialli, di generali e di principi del sangue borbonesco, e siamo tutti risoluti di mangiarceli con buono appetito. Ciascun di, ciascuna ora, ciascun momento, giungono i corrieri uno a ridosso dell’altro; ed uno ne informa come gli alleati s’hanno valicato il tal fiume, presa la tal cittá, diloggiato il tal corpo d’esercito e fattolo marciare a tutte gambe sino di lá dalla provincia tale o