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DI GIANFRANCESCO GUENZI A VITTORIO AMEDEO CIGNA 197 componevano i Sofocli e gli Euripidi. Ma i nostri Trissini e i nostri Speroni hann’eglino composto pe’ paesani loro? Signor no, signor no; ché, se avessero composto per essi, quelle loro tiritere da essi intitolate «tragedie» sarebbono tanto note a’ loro paesani, quanto le tragedie di que’ valenti greci erano note a’ paesani loro: e se questo sia il caso, ditelo voi che sapete come i nomi di que’ nostri balordi tragici si vanno affondando in Lete ogni di piú. E per cavameli di quel fiume, altra forza ci vuole che non la vostra, Cigna mio, comeché siate fiancheggiato dal Gravina, dal Conti, dal Crescimbeni, dal Muratori e da cent’ altri de’ nostri dottori in utroque, che s’avevano del sapere in capo, si, ma del senso comune assai poco, poiché pretesero scioccamente provare che le cose incresciose non sono punto incresciose. Oh, goffi! Negar fede alla sperienza che le mostra incresciose tutte? Il nostro popolo, come tutti i popoli dell’universo, vuole glielo dica il cuore che una tragedia non è incresciosa, e non che gliel dica un dottore in utroque. Può darsi, Cigna, che coll’andar degli anni l’ Italia produca un qualche italico Euripide, un qualche italico Sofocle, che piaccia a’ paesani suoi, come il greco Sofocle, il greco Euripide piacquero a’ paesani loro. La Francia e l’Inghilterra s’hanno de’ Sofocli e degli Euripidi, cioè s’hanno de’ poeti tragici che piaciono alle loro rispettive genti; ma, viva il vero e muoia la nostra malnata vanitá, noi non n’abbiamo peranco veruno; anzi, a dirvela tutta, ho pur paura la nostra contrada voglia stentare ancora di molti secoli prima di produrne uno, poiché la veggo si trasandata che s’ inghiotte come scelte vivande le sporche minestre e i fetidi brodacci de’ Goldoni e de’ Chiari. Se dunque i nostri cinquecentisti non seppero scrivere delle tragedie piacevoli alle nostre genti, a che ristamparle? Le genti nostre non vorranno leggerle sicuramente. Dunque non le compreranno: la cosa è chiara. Sapete voi quello che potreste fare, se siete pure ostinatamente risoluto di voler essere editore d’alcuna cosa? Una buona raccolta de’ nostri poeti epici, preceduta da varie dissertazioni e corredata di varie note, pare a me vi riuscirebbe orrevole non meno