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e la madre si facevano le croci del suo poter conservarsi nella testa una tanta farraggine d’avventure, e quanto gongolavano nel sentirgliele poi raccontare, come sovente faceva, con facilitá, con prontezza e con buona e viva e giudiziosa maniera! Segni tutti quanti, diceva don Timoteo, che un giorno la sua fantasia, egualmente che la memoria sua, sarebbon ite di pari con quel suo capace intelletto, e che il giovane verrebbe un giorno a riuscire uno eccellente giudice di cose fantasiose e poetiche; ancorché costi v’avesse in apparenza un po’ di ripugnanza ne’ vaticini, avendo prima dato ad intendere che il putto sarebbe venuto ad essere matematico, e non avvenendo molto di spesso che i matematici si pizzichino pure del poeta. E qui non ha se non bene il ricordare quello che avvenne una mattina in sull’ora quasi di nona, che il buon prete s’entrò all’impensata nella camera del suo discepolo e lo trovò, quando meno sei credeva, con tutt’a due gli occhi pieni di lagrime sino all’orlo; e domandatogli di che piagnesse e non potendo quello dirlo per l’angoscia che gli strigneva il cuore, don Timoteo corse colla vista sul libro che gli stava dinanzi aperto e trovò che Galileo s’era venuto leggendo il doglioso racconto della funesta morte data da un brutto lione a Pulicane, cioè ad una creatura cosi nominata perché la natura l’aveva fatta in modo che dalla cintola in su era un uomo ed era cane dalla cintola in giú, alla stessa guisa che i centauri sono mezz’uomini e mezzo cavalli. Diceva il libro come questo Pulicane era scudiero d’una certa principessa di Costantinopoli, la quale, fuggendosi per uno scuro deserto con un degno amante, che l’aveva involata all’ imperadore suo padre, si trovò tanto alle strette per mancanza d’acqua in quel deserto senza via, che insieme col suo cavaliero si moriva miseramente della sete. Il quadrupede scudiero, sopramodo leale alla sua bella padrona, si pensò di rimediare al di lei male con andarle a cercare dell’acqua onde bevesse: al qual fine si pose a correre innanzi, dopo d’aver detto all’innamorata coppia di tenergli dietro il meglio che potessero e guardando sempre all’orme che avrebbe lasciate impresse nella sabbia. Non era Pulicane ito due miglia,