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Passati gli otto giorni che s’ erano destinati al goderci i parenti e gli amici casalaschi, ci accommiatammo da essi, mischiando non poche delle nostre lagrime colle loro e con quelle delle due madamoselle e della madama che dissi; e mutati quattro o cinque volte i cavalli per via, attraverso un paese de’ piú sfoggiati che l’Italia s’abbia, si giunse, la sera dell’undecimo giorno dopo la nostra partenza da Milano, in questa non grande ma bella metropoli dello Stato di Sua Maestá sarda. E qui pure fummo ricevuti dal nostro signor Gaetano e dalla sua consorte, che n’aspettavano divotamente, con un amore, con un’allegria, che non ve ne potrei dire il quarto, s’io foss ’anche primogenito di messer Demostene, che sapeva tanto ben dire ogni cosa. E perché in Torino v’ha molto da vedere, la nostra faccenda principale fu di far vedere alle nostre donne ogni cosa visibile, vuoi nella cittá o vuoi ne’ sobborghi e contorni suoi. E cosi diedesi cominciamento al vedere dal vasto palagio reale, pieno zeppo di maraviglie d’ogni fatta, e da quello del principe di Carignano, e da vari altri appartenenti a questi gentiluomini; piú d’uno de’ quali è degnissimo d’essere visitato anche da que’ nostri cittadini che s’ hanno a menadito i signoreschi alberghi de’ nostri Litta e Cusani e Simonetti e Clerici e Serbelloni e Crivelli e Visconti e Beigioiosi e Lonati e Casnedi e Lucini e altri e altri e altri. Poi vedemmo le chiese e i due teatri e il resto de’ numerosi edifizi pubblici. Quindi s’andò in bussola a Superga, ché cosi chiamano uno stupendo tempio collocato in vetta ad un vicino colle piú d’un mezzo miglio alto da terra; tempio d’un’architettura sommamente vaga all’occhio e composto tutto di marmi scelti e rilucentissimi. Oh, il vantaggioso sito di quel tempio e le sterminate viste che s’ hanno dalla sua sommitá! Da quella, quando il tempo è chiaro e tranquillo, si vede il nostro Milano, comeché distante piú di novanta miglia: s’intende coll’ausilio d’un qualche buon telescopio, ché la vista nuda non va tanto in lá per buona che la sia. Vedemmo pure la schietta e dolce villa che qui chiamano «della regina», posta anch’essa in un alto luogo di lá dal Po; e quindi