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LETTERA PRIMA

Di Annibale Caro al signor Bernardo Spina

[Come per un uomo virtuoso e di studi, anche se voglia darsi a Dio e aspiri a una vita quieta, sia sempre preferibile restare nel secolo anziché farsi frate.]

Ora io mi ricordo, signor Bernardo, come, nel mio passare ultimamente da Milano, voi mi diceste un tratto nel vostro studio che volevi farvi frate. Ma, sapendo quanto galantuomo voi siate, io mi pensai che non diceste frate davvero, e che voleste solo per modo di figura mostrare quel certo desiderio, che suol cadere nella più parte degli uomini quando hanno passati de' travagli assai e che sono ben risoluti delle cose di quaggiù: cioè di volervi ridurre ad una vita più tranquilla, più moderata e più ritirata dal trambusto e dalle faccende di questo mondo. Sento adesso per lettere e per bocca di molti, e lo ritraggo pur anco dal vostro scrivere, che voi volete veramente farvi frate in anima e in corpo: vale a dire indossare una tonica, imbavagliarvi con una pazienza, coprirvi con un cappuccio, cingervi con un cordone, calzarvi di zoccoli o di scarpacce all’apostolica, ed in sostanza immascherarvi da strano animale ed intanarvi ’n una caverna o ’n un convento, che tanto monta.

Questa cosa, signor Bernardo, io nolla posso quasi credere, perché non veggio qual cagione possa muovere un pari vostro ad una tanto bizzarra deliberazione. La più parte di que’ che si fanno frati, o si fanno per disperazione o per ambizione o per religione o per desiderio di quiete, e bene spesso ancora per un umore malinconico, come voi mi dite burlando, e forse forse da buon senno.

Che voi vogliate farvi frate per disperazione, non può cadere nella fortezza dell’animo vostro, ne sono più che certo.