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del parlamentarismo, Esercito alla cui forza e alla cui tradizione — pur fiorenti fra l’indifferenza della Nazione cullantesi nei be’ sogni di pace — l’Italia deve la salvezza e la recente definitiva vittoria sulle innaturali potenze dell’oscurantismo e della violenza.

Un grande debito di riconoscenza e di ammirazione il Paese deve a questo «ufficiale di carriera» incarnazione di quanti suoi colleghi hanno formato i quadri e le ossature a cui si innestarono e su cui fiorirono rigogliosamente — per tanto esempio! — le imperiture generazioni di subalterni improvvisati, a questa figura «centrale» dell’Arma aerea che ha tanto preziosamente cooperato al raggiungimento di quelle condizioni e di quelle situazioni auspicanti e facilitanti la definitiva imposizione sulle forze terrestri del nemico.

Lettere rivelatrici

Mentre le sottoscrizioni e i plebisciti nazionali stanno traducendo in atto i propositi e i progetti ideati e studiati da quanti lo conobbero lo amarono lo protessero, ne andarono orgogliosi come amici commilitoni soldati concittadini congiunti ammiratori sconosciuti e lontani, per eternarne la memoria e l’effige o il gesto nel bronzo o nel marmo per quanto fu mirabile e fiero combattente o nella scuola o nella fondazione caritatevole per quanto ebbe l’animo nobilmente volto allo studio e al lenimento delle strettezze dei poveri di Lugo, possano queste «lettere» — tolte con mano tremante dallo ‘scrigno ove la materna amorevolezza gelosamente e piamente conserva coi ritratti di fanciullo, i quaderni di scuola e qualche trofeo di guerra, tutto ciò che di materiale le rimane del bello e giovine figlio — possano giovare queste «lettere» alla Madre per illuminare di uno splendore più vero più duraturo più giusto più umano questo combattente caduto in un vespero vittorioso sul campo di battaglia e che fu e dovrà restare slorioso non soltanto per quanto potè apparire alle folle mercè il numero dei nemici abbattuti e schiacciati al suolo, ma puranco per le sue meno pubbliche e risapute virtù di soldato e di italiano, devoto e cosciente del suo dovere fino al sacrificio di tutti i giorni e anche nell’ora fatale in cui gli si ingiunse di andare a morire, paziente e tenace nel lavoro propiziatore e preparatore della vittoria, «imbevuto della guerra» — siccome scriveva nella sua ultima lettera del 5 giugno 1918 quando alle insistenze materne di concedersi qualche giorno di riposo da trascorrere nell’avita casa di Lugo che pe’ suoi corridoi lo aveva visto bambino galoppare e folleggiare su un cavalluccio di legno, rispondeva: «non posso, sono imbevuto della guerra, non vivo che pel mio dovere».