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conviti ed altre sorti di feste teneva corte bandita. Venuto adun- que il giorno anniversario de la coronazione di Artaserse, ed essendo tutte le cose secondo gli ordini loro messe in assetto, volendo il re fare quanto ne l’animo caduto gli era, impose a uno de li suoi fidati camarieri, che subito se n’andasse a tro- vare Ariabarzane e si gli dicesse: — Ariabarzane, il re ti co- manda che adesso adesso il corsiero bianco, la mazza d’oro e gli altri arnesi de la senescalcaria tu istesso porti a Dario tuo nemico, e per parte del re li dirai che egli è creato senescalco generale. — Andò il camariero, e fece quanto dal re gli era stato imposto. Ariabarzane, udendo questa fiera ambasciata, fu per morire di doglia, e tanto piú di dolor .sentiva, quanto che Dario era il maggior nemico che egli avesse al mondo. Non- dimeno, come colui ch’era di grand’animo, non sostenne in modo alcuno di mostrar la gravezza che di dentro aveva, ma con buon viso disse al camariero: — Ciò che piace al mio signor sia fatto. Ecco che di presente vado a metter ad essecuzione quanto mi comanda;— e cosi alora diligentissimamente fece. E come venne l’ora del desinare, Dario servi di senescalco. Ed assiso che fu il re a tavola, Ariabarzane allegro in vista con gli altri baroni si pose a mensa. La meraviglia di ciascuno fu grandissima; e tra’ baroni, chi lodava il re e chi nel segreto lo chiamava ingrato, si come è costume de’ cortegiani. Il re teneva tuttavia gli occhi a dosso ad Ariabarzane, meravigliandosi pur assai che in sem- bianza si dimostrasse si lieto, ed in effetto lo giudicava uomo d’animo generosissimo. E per venir al disegno che fatto giá aveva, incominciò con agri motti a mostrar a tutti i suoi ba- roni una cattiva contentezza ch’aveva d’Ariabarzane. Da l’altra parte, subornò alcuni che spiassero con diligenza ciò ch’egli di- ceva e operava. Ariabarzane, udendo le parole del suo signore, e stimolato dagli adulatori che a questo erano stati ammaestrati, poi che pur vide non li valer la pazienza che mostrava, né gio- varli la modestia che nel parlare aveva usato, e rammentandosi de la lunga e fedel servitú che fatta al suo re aveva, de’sof- ferti danni, de’perigli de la vita ove per lui posto s’era tante fiate, de l’usate cortesie e d’altre cose assai che fatte aveva,