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NOVELLA XXXVI
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lo vede far qualche cosa sgarbatamente. Vi dico adunque:
dessiderando il re sapere di quanto numero d’uomini ne la città
di Parigi si poteria prevalere che portassero arme, volle che
tutti facessero la mostra armati, chi a piedi, chi a cavallo. E di
questa mostra diede la commissione al Bai va, che ancora non
era cardinale, ma solamente vescovo. Il che sentendo monsignor
di Cabannes, gran maestro di Franza, se ne turbò forte, cono¬
scendo che questo non era ufficio di vescovo. Tuttavia non
volle contradire al re né dirgli che non istesse bene ciò che egli
faceva. Ma accostatosi a lui, riverentemente gli disse: — Sere,
io vi supplico umilissimamente che sia di vostro piacere di farmi
una grazia, che a me sarà di grandissimo contento. — E che
cosa volete voi — rispose il re — che io vi faccia? — Io vi sup¬
plico — soggiunse il gran maestro — che voi degnate darmi
commessione che io vada al vescovado che è di monsignor
Balva, a riformare i suoi canonici e visitarli. — Come può esser
questo? — disse il re. — La commissione non sarebbe propria
né a voi convenevole, ché non istà bene che un secolare non
sacro emendi le persone ecclesiastiche. — Si, sarà — rispose il
gran maestro — cosi propria e conveniente a me, come è quella
che voi commessa avete al vescovo, che vada a far la mostra
ed ordinare le genti d’arme. — Piacque al re l’arguzia e rivocò la
commissione. Ché forse, quando monsignor di Cabannes avesse
detto: — Sire, cotesto non istà bene; voi noi devete fare: man¬
dateci un commissario de le mostre, — o simil’altre parole, il re,
che era capriccioso, si sarebbe adirato e averebbe voluto che
la commissione data al vescovo si fosse essequita.
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