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NOVELLA LV 26- sonno, avendo il ribaldo castellano mutinati tutti i fanti de la guardia de la ròcca, andò con parte di loro a la camera ove Niccolò dormiva, e quello senza romore con i camerieri preso, a lui per esser l’adultero, prima tagliò via tutti dui i sonagli col membro virile insieme e poi cavògli crudelmente il core. Né contento di questa acerbissima vendetta, fece del corpo mille pezzi con le proprie mani. I nostri vicini bergamaschi quando sentono alcuno che maledicendo il compagno gli dice: — Ti venga il cacasangue, la febre, il cancaro — e simili imprecazioni, sogliono dire: — Io non so dir tante cose, ma io vorrei che tu fussi morto. — Deveva bastar a Tirato fuor di misura castellano uccider il suo padrone e non incrudelir poi nel morto; ma Tira come è sfrenata, non sa servar modo. Il perché entrato dopoi ne la camera ove il duca di Camerino dormiva, quello con le sanguinolente mani prese e col resto di quelli che in ròcca alloggiavano cacciò in una oscura prigione. Cominciandosi poi a scoprir l’aurora e già quelli che ne la città albergavano mettendosi in punto per la caccia, mandò il crudel castellano uno dei suoi scelerati ministri a chiamar Cesare in ròcca a nome del fratello. Egli che nulla sapeva e meno nulla di male sospettava, come fu entrato in ròcca si vide miseramente far prigione e tutti quelli che seco erano incarcerare. II castellano per non esser inferiore a qualunque più crudel barbaro che mai si fosse, fece menar cosi legato Cesare ne la camera ove Niccolò in mille pezzi smembrato nel suo sangue si stava, e gli disse: — Cesare, ecco il ribaldo adultero di tuo fratello; vedi qui il capo e riconoscelo a le sue fattezze. Quanto mi duole che Corrado non sia a queste nozze che io faccio, perché anch’egli se ne sederebbe a questa sontuosa mensa, a ciò che nessuna reliquia del sangue dei tiranni Trinci al mondo restasse. Ma chi fa ciò che può ha fatto assai. Io non ce l’ho potuto cogliere: che maledetto sia Trevio e chi ci abita. — Detto questo, il perfido castellano sovra le membra di Niccolò crudelmente di sua mano Cesare, che più morto era che vivo e che mai parola essendo a si fiero spettacolo fuor di sé non disse, come un agnello svenò e lasciò voltarsi nel sangue del fratello e suo.