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NOVELLA LV 265 difficultà quivi è la gloria maggiore. Ora venendo a la narrazione de la mia novella, devete sapere che non sono molti anni ne la famiglia dei Trinci, al tempo che Braccio Montone e Sforza Attendulo capi de la milizia italiana fiorivano, furono tre fratelli, chiamati il primo Niccolò, Cesare il secondo e l’ultimo Corrado. Tenevano costoro il dominio di Foligno, di Nocera, di Trevio e di molte altre terre nel ducato di Spoleto, e quelle con fra- tevole amore governavano, non si curando altrimenti dividere il nobil e ricco stato. Avvenne che andando assai sovente Niccolò da la città di Foligno a quella di Nocera ed alloggiando sempre in ròcca, egli pose gli occhi a dosso a la moglie del castellano ch’era una giovane molto bella e piena di grazia, e di lei si fieramante s'innamorò che gli pareva non dever vivere se amorosamente quella non godeva. E non avendo riguardo che il castellano a nome di lor tre fratelli guardava la ròcca e che più tosto deveva carezzarlo che offenderlo, diede opera che la donna di questo amore s'accorgesse. Il che in breve ebbe effetto, perciò che ella avvedutasi che il signore la vagheggiava, si tenne da molto più e molto caro l'ebbe, onde se gli scopriva tutta piacevole e ridante e con la coda de l'occhiolino gli mostrava che era disposta a far quanto a quello era a grado. Del che Niccolò ne viveva contentissimo. Ed essendo i dui amanti d’un medesimo volere, non passarono molti giorni che avuta la commodità si trovarono in parte ove presero insieme con gran contentezza amoroso piacere. Piacque mirabilmente a Niccolò la donna, e se di lei era prima innamorato, ora tutto ardeva, e per averne assai più spesso copia, veniva tutto il di a cacciare nei boschi di Nocera che di porci cinghiari ed altri salvaggiumi sono molto abondevoli. Veniva egli a la caccia volentieri, non solamente per goder la bella ed amorevol castellana che era tutto il suo intento, ma anco a ciò che sotto il titolo de la caccia il castellano del suo cosi frequente venire non ingelosisse e pigliasse de l'amorosa pratica sospetto. Perseverò felicemente lungo tempo in questa sua impresa senza impedimento veruno o che persona se n'avvedesse. Ma usando poco discretamente per la lunga consuetudine questa pratica, Fortuna