la lingua nostra, e in ogni luogo ove si trovava da ogn’ora col crocifisso in mano faceva un sermone. Egli non si vergognò pubicamente predicare che tutto quello che diceva il giorno gli era la notte dai santi angeli in orazione rivelato. Né di questo contento, mille revelazioni si faceva su le dita; e quello diceva a la morte sua esser salito in cielo senza toccar le pene del purgatorio, quell’altro esser sceso al purgatorio e quell’altro rovinato nel profondissimo baratro del penoso inferno, dicendo che tutte queste cose nostro signor Iddio gli aveva rivelate. Aveva predicato in Calavria con una stupendissima grazia, e ne le sue prediche altro non si sentiva che riprender i vizi e dir tutto quello che in bocca gli veniva. Nel tempo ch’egli venne a Napoli avvenne che il re catolico insieme con la reina Isabella di Castiglia, donna in ogni secolo mirabile, fe’ uscir dei regni de la Spagna tutti i giudei e marrani che vi si trovavano, dei quali, e massimamente dei marrani, assai in questo regno si fermarono. Per questo entrò nel capo a fra Francesco di far ogni opera a ciò che il re Ferrando facesse il medesimo. Ma il re Ferrando che sapeva che la chiesa tolera che nei luoghi de’ cristiani possino i giudei abitare, e ai marrani aveva fatto intendere che se poteva trovare che giudaizassero che gli castigarebbe, non faceva stima de le parole del frate. Onde egli non si veggendo stimare, cominciò rabbiosamente a predicar contra i giudei e quasi a sollevargli i popoli contra, profetizzando contra il re e contra i popoli. Fecelo un giorno a sé chiamare il re Ferrando, e volle da lui intendere qual cagione il moveva perché cosi accerbamente contra i giudei predicasse. Egli non seppe altro dire se non che essendo di quella perfida generazione che crocifisse il nostro Redentore, che meritavano tutti esser dal consorzio umano cacciati e dispersi in luoghi inabitabili, e minacciava da parte di Dio il re se ad imitazione di suo cugino non gli sterminava. Il re non veggendo altro fondamento nel frate non gli diede orecchie, quel conto di lui tenendo ch’egli averebbe tenuto d’un cireolatore o ceretano. Il che l’ambizioso e superbo frate non poteva sofferire; e piú di giorno in giorno crescendo in lui questo umore, si deliberò tra sé con nuova arte indurre il re a