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e tanto morta quanto quella pareva; il che doglia a doglia accresceva e pianto a pianto. L’erano a torno di molte donne che tutte si sforzavano a la meglio che si poteva di consolarla. Ella aveva di modo allentate le redine al dolore e cosi in poter di quello s’era lasciata trascorrere che quasi in disperazione caduta, non intendeva cosa che se le dicesse ed altro non faceva che pianger e sospirare e mandar ad ora per ora le strida sino al cielo e scapigliarsi come forsennata. Messer Antonio non ’meno di lei dolente, quanto meno con lagrime sfogava il suo cordoglio tanto piú a dentro quello maggior diveniva; tuttavia egli che teneramente la figliuola amava, sentiva dolor grandissimo, ma come piú prudente meglio sapeva temperarlo. Fra Lorenzo quella matina scrisse a lungo a Romeo l’ordine dato de la polvere e quanto era seguito, e che egli la seguente notte anderia a cavar Giulietta fuor de la sepoltura e la porteria a la sua camera. E perciò che egli studiasse venirsene travestito a Verona, che lo attenderia fino a mezza notte del seguente giorno e che si terria poi quel modo che meglior lor fosse paruto. Scritta la lettera e suggellata, la diede ad un suo fidato frate e strettissimamente gli commise che quel di andasse a Mantova e trovasse Romeo Montecchio e a lui desse la lettera e non ad altra persona, fosse chi si volesse. Andò il frate ed arrivò a Mantova assai a buon’ora e smontò al convento di San Francesco. Messo giú il cavallo, mentre che egli cercava il padre guardiano per farsi dar un compagno per poter accompagnato andar per la cittá a far sue bisogne, trovò che molto poco innanzi era morto uno dei frati di quel convento, e perché era un poco di sospetto di peste, fu giudicato dai deputati de la sanitá il detto frate esser senza dubio morto di pestilenza, e tanto piú che se gli ritrovò un gavocciolo assai piú grosso d’un ovo ne l’anguinaia, che era certo ed evidentissimo indizio di quel pestifero morbo. Or ecco che in quell’ora a punto che il frate veronese domandava il compagno, sovravennero i sergenti de la sanitá che al padre guardiano comandarono sotto pene gravissime per parte del signor de la cittá che egli per quanto aveva cara la grazia del prencipe a modo veruno non lasciasse uscir persona fuor del monastero.