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possiate quella leggendo gli spirti vostri ricreare, se quella degna stimerete deversi da voi leggere; il che la vostra mercé mi persuado che per l’amor che mi portate voi farete. State sano.

NOVELLA I

Un prete avaro è gentilmente beffato da alcuni buon compagni che gl’ involarono un grasso castrone.

Io vorrei, signore mie umanissime e voi cortesi signori, che il nostro messer Andrea da Melzi non fosse stato astretto dopo il desinare a partirsi, a fine ch’egli quello che io ora intendo di narrarvi avesse narrato, come colui che è si bel dicitore e tanto quanto nessun altro gentiluomo di Milano pieno di bei motti e di questa istoria che io dirò meglio di me consapevole. Ma poi ch’egli non ci è e volete che io parli de le beffe che talora si fanno a questi preti avari, io ubidirò con speme di sodisfarvi. Dico adunque che ne la villa di Mazzenta non è guari di tempo fu un don Pietro prete, parrocchiano de la villa, uomo assai attempato e tanto avaro che non si potria dir piú, il quale avendo buona prebenda ed oltra questo ogni di guadagnando quasi il vivere de le elemosine ed offerte che per i morti si facevano, aveva sempre paura di morir di fame e non averebbe invitato né prete né secolare a casa sua a bere un bicchier di vino, ed egli mai non recusando invito che fatto gli fosse, francava al mangiar il suo carlino. In casa sua egli per la bocca sua faceva tutti quei delicati mangiari che avere si potessero, e teneva una donna di buona etá che era perfettissima cucinara. Aveva egli di continovo i suoi capponi ad ingrassar, i migliori che ne la villa si trovassero. Al tempo de le quaglie egli conserva ne faceva per tutto l’anno, il medesimo facendo de le tortorelle. Cosi secondo le stagioni in casa sua sempre aveva degli augelli ed animali selvaggi, e dove andava il fatto de la gola, per comprare un buono e ghiotto boccone non risparmiava mai danari, e quando argento stato non ci fosse, egli averebbe impegnato la cotta, la croce, la pietra sacrata e credo anco il