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son qui venuta, giustissimo viceré a ciò che da me voi il tutto intendiate. Io né a negar né a pregare mi saprei disporre, parendomi che troppo gran vigliaccheria sarebbe d’una cosa volontaria e pensatamente operata temer punizione. Voglio adunque, il vero con buon viso liberamente confessando, diffender la fama mia, a ciò che se nessuno per il passato ha di me sinistra openione avuta, sappia ora certissimamente che io del signor Didaco Centiglia moglie vera sono stata e non bagascia. Mi basta che l’onor mio sia salvo, avvenga mò ciò che si voglia. Io, signor viceré, questa notte passata, con l’aiuto di questa schiava che meco è, da la ricevuta ingiuria stimolata quella vendetta ho preso che m’ è paruta convenevole a l’ ingiuria che egli fuor d’ogni ragione, non l’avendo io offeso, m’ ha fatta e con queste mani da quello scelerato corpo ho la vituperosa anima cacciata. Egli l’onore tolto m’aveva ed io ho a lui la vita levata. Ma quanto piú si debbia l’onore che la vita apprezzare è troppo manifesto. — E quivi puntalmente il modo che tenuto aveva in ammazzarlo e come voleva far fuggir la schiava, narrò. Rimasero udendo questa tragedia tutti quei signori fuor di loro, e giudicarono la donna esser di piú grand’animo che a femina non apparteneva. Fu mandato a tórre il miserando corpo del cavaliero che a tutti diede un orrendo spettacolo. Furono essaminati la madre, i fratelli ed il servidore, e si trovò che in effetto egli non poteva di ragione sposar la seconda moglie. E sovra la morte del cavaliero fatta inquisizione diligentissima, altri non si trovarono colpevoli che Violante e Giannica, le quali publicamente furono decapitate, e andarono tutte due cosi allegramente a la morte come se fossero andate a la festa e, per quanto s’ intese, la schiava nulla di se stessa curando, solamente essortava la padrona a sopportar in pace la morte, poi che cosi altamente s era vendicata.