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NOVELLA XL difforme da la conversazione che io desiderarei veder ne la patria mia. Onde la vita mia faceva con Camillo ed uno o dui altri, i quali sono stati ancora eglino fuori ed hanno appreso mille belle maniere di vivere e di costumi gentili e di festeggiar gli stranieri ·ed onorargli. Hanno poi questi cittadini universalmente questa boria in capo, che vogliono essere tenufi i primi de la citta, i guaii se caminano per la strada, gli vedi andare gonfi e pettoruti, rimirando quinci e quindi chi fa loro di berretta, chi se gli inchina, chi gli saluta, chi gli cede il luogo piu onorato e chi da loro in tutto e per tutto dipende, come se essi fossero ben gran conti e cavalieri e signori de la citta. Io porto ferma openione che non sia gente in Italia che piu s’ appaghi di titoli onorevoli, come di marchese, di conte e di cavaliera, come fanno costaTo, i quali godeno meravigliosamente esser con simil nomi domandati, se ben le faculta non sono di maniera che si possa viver cavallerescamente. Ora io sono un di quelli a cui queste fumose grandezze e titoli vani sono piu a noia che il morbo, e piu m’apprezzo de l’oneste faculta che a’ miei fratelli ed a me gli avi nostri per antica eredita ci hanno lasciate, che d’esser chiamato né cavaliera né conte, ché a dir il vero, io vorrei de l’arrosto e non del fumo, peTché l’arrosto nodrisce e il fumo ci soffoca e fa morire. Ma pÙché molte fiate di questo abbiamo in sieme ragionato e con vere ragioni biasimato il modo del viver di questa terra e desiderato, ben che indarno, che ci fossero quelle oneste e lodevoli domestichezze che sono in molte altre citta di Lombardia, di questo non dirò altro se non che, essendo scioperato e non sapendo alcuna volta ove ridurmi, andava assai sovente a la stanza de la Cinzia, ove sonando, cantando, scherzando e favoleggiando me ne passava il tempo. V’andava anco ·e piu degli altri vi face va dimora, per quel rispetto del quale a Camillo e a te so che n’ ho piu di due e tre volte ragionato. Ora io non so ciò che sia o che dir mi debbia. Questa mat ina a buonissima ora Cinzia ha mandato per me, la quale ho ritrovata che in pianti e gemiti miseramente e senza voler ricever alcuna sorte di consolazione si consumava. Ella, come fui arrivato, mi diede questa lettera che Camillo le ha scritto. M. BANDELLO, Novelle -III. 24