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appendice 225


gli altri errori vennero da quello altro che si suol chiamare col nome nuovo di «municipalismo», ma che comprende in sé i due vizi antichi, vergognosi, capitali e sempre fatali, della superbia e dell’invidia, superbia d’ogni menomo merito, invidia degli stessi piú evidenti benefattori. Milano impazzita di sue cinque giornate, trattò in grida, in atti, in fatti, i piemontesi accorsi due dí dopo, non come liberatori che erano stati forse veramente minacciando giá dal Ticino, e non come almeno aiuti necessari, ma come tardivi, inutili, usurpatori di vittoria di giá compiuta e sicura; trattò il re, com’ebbe a dire egli stesso, a quel modo che la repubblica francese del 1792 trattava i suoi generali. Il governo provvisorio presieduto da quel Casati che come podestá avea giá fatta la lunga e bella guerra legale, ma raccolto, com’è naturale, d’ogni frazione, d’ogni tinta del partito liberale, dalle corti alle sètte, dai semplici riformisti ai repubblicani rossi o comunisti, diviso, discorde in sé, fu impotentissimo a dominar le discordie dell’opinione, della stampa, delle sètte, de’ circoli, della piazza. Credette comporle con questo mezzo termine: proporre al voto universale la fusione (parola nuova o male applicata e che rimane infausta) di Lombardia a Piemonte, con questo patto orgoglioso che del nome, delle memorie, delle leggi, dello statuto stesso del vecchio e or ora rinnovato Piemonte non rimanesse, salvo la casa di Savoia, nulla di conservato se non sancito e rifatto da una Costituente lombardo-piemontese. E Piemonte, re, Camere, principi, ministri, grandi, popolani, intendenti o non intendenti, ripugnanti o non ripugnanti a quello stoltissimo fra gli errori di qualunque rivoluzione incipiente, tutti s’affrettarono d’accettare, per non turbare la guerra d’indipendenza, dico dell’indipendenza non piemontese, ma lombarda. E nota che tutto ciò si faceva a mezzo maggio, tra le due vittorie piemontesi di Pastrengo e Goito. — Non dico altro. Nemmeno le condizioni aggiunte, la coda di quella fusione parimente imposta, parimente accettata. A petto di questo furon nulla tutti gli altri errori d’allora, quello stesso errore del governo di rifiutar l’offerta fatta dallo Schnitzer, inviato austriaco, di lasciar libera Lombardia fino all’Adige; questo