periodi
di qualunque nazione, in cui sieno mai progredite piú a un tratto ed
insieme tutte le colture. E Dante fu uno degli uomini che sieno mai
progrediti piú sopra i propri contemporanei. Nato nel 1265, l’anno della
calata di Carlo d’Angiò, cresciuto, educato tra i trionfi della libertá
fiorentina e della parte nazionale, e insieme in sull’aurora del poetare
italiano, in tempi dunque d’ogni maniera propizi allo svolgersi di suo
grande ingegno; preso di gentile e puro amore fin dall’adolescenza,
infelice in esso fin dalla gioventú, provata poesia, ideato e lasciato il
poema giovanile, provata la vita pubblica, e respinto da essa e di sua
cittá per quella moderazione di opinioni, per quell’ardenza nel
proseguirle che tutti gli animi un po’ distinti sentono, che i volgari di
qua e di lá, di su e di giú non capiscono e non perdonano; si rivolse,
esulando, allo scrivere, all’idea giovanile, a quel poema di religione,
di filosofia, di politica e di amore, il quale, simile nella forma a
parecchi contemporanei, supera forse in sublimitá e vigor di pensieri,
agguaglia per certo in tenerezza e splendor di poesia ed in proprietá di
espressioni i piú belli delle piú colte etá antiche o moderne; ed in tale
opera, e nell’esiglio, perseverò poi vent’anni fino alla morte [1321].
Noi non celammo l’error politico di Dante, che fu di lasciare la propria
parte buona e nazionale perché si guastava in esagerata, straniera e
sciocca, di rivolgersi per ira alla parte contraria ed essenzialmente
straniera; ed aggiungeremo qui ch’ei pose il colmo a tale errore,
protestando di continuar nella moderazione, affettando comune disprezzo
alle due parti, mentre rivolgevasi a propugnare l’imperio, e nel poema, e
in quel suo libro, del resto mediocre, Della monarchia. Ma ciò posto ed
eccettuato francamente, ed eccettuate forse alcune vendette personali
terribilmente fatte con sue parole immortali, Dante e il poema suo restan
pure l’uomo e il libro incontrastabilmente piú virili ed austeri della
nostra letteratura: virile l’uomo, nel saper sopportare le pubbliche, le
segrete miserie dell’esiglio, nel non saper sopportare né le insolenti
protezioni delle corti né le insolentissime grazie di sua cittá, nel
sapere dalla vita attiva, che pur anteponeva ma gli era negata, passare
alacre alla