Alberici, fu il piú innocente fra gli usurpatori romani; fu sognatore, ed
esempio a molti altri. — Dopo di lui l’Albornoz continuò con piú politica e
piú fortuna la restaurazione della potenza papale in Roma, nelle Marche, in
Romagna, in Toscana stessa, durante tutto il pontificato d’Innocenzo VI e
quasi tutto quello d’Urbano V, succedutogli nel 1362. Francese questi pure,
pontificò primamente come gli altri da Avignone; ma nel 1367 ei fece
rivedere un papa al posto suo, venne a Roma, vi rimase presso a tre anni, e
tornò poi nel 1370 ad Avignone, e nel medesimo anno vi morí. Succedette
Gregorio XI pur francese; il quale pure pontificò primamente in Avignone;
ma pressato, dicesi, principalmente da santa Caterina da Siena e da santa
Brigida, restituí finalmente la Sedia in Roma l’anno 1377. Eran
settant’anni appunto dalla traslazione in Francia. — In Toscana, Firenze
risplendeva, s’arricchiva, poteva piú che mai. Raccoglieva il frutto di sua
costanza guelfa, di sua indipendenza, meglio difesa che non quella di niuna
altra cittá italiana, salvo Venezia. Eccessiva giá in democrazia, tollerava
ora i nuovi nobili o grandi, sorti sulle rovine dell’antica aristocrazia, i
grandi commercianti, fra cui giá sorgevano i Medici, fra cui pure
riammetteva per grazia alcuni antichi. E cosí finalmente tollerandosi, le
due classi inevitabili dell’aristocrazia e della democrazia si salvarono da
que’ tirannucci, peggiori certamente che non le offese reciproche o gli
eccessi dell’una e dell’altra. Fin d’allora, non militare abbastanza per
ordinare armi proprie, per esentarsi de’ condottieri, fu politica in modo
da barcheggiare con essi, e servirsene nelle solite rivalitá contro a Pisa,
e in quella or piú pericolosa co’ Visconti di Milano. Firenze non fu buono
Stato se si giudichi positivamente da sé, posciaché non asserí
l’indipendenza compiuta, posciaché non ebbe armi proprie; ma Firenze fu
senza dubbio il migliore Stato d’Italia dopo Venezia; e non merita né tutti
gl’improperi di Dante, né tutti gl’inni di Sismondi. — I Visconti erano
sempre i maggiori principi d’Italia. Morto Luchino, avvelenato, dicesi,
dalla moglie [1349], eragli succeduto suo fratello Giovanni arcivescovo.
Signore giá di sedici cittá, comprò da Pepoli Bologna [1350].