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dicesi armasse nell’anno quindicimila guerrieri [1168]. Poi entrarono nella Concordia nuove cittá, Ravenna, Rimini, Imola, Forlí; e allora preser il nome piú esteso di «Societá di Venezia, Lombardia, Marca e Romagna ed Alessandria». I consoli delle cittá si riunivano a parlamento ed eleggevan rettori della Societá; e si estesero i giuramenti a non far pace né tregua né compromesso coll’imperatore, ad impedire «che non scendesse esercito imperiale grosso né piccolo di qua dall’Alpi», a mantener la lega per cinquant’anni; tutto magnifico, salvo che mancarono sempre in quegli atti le due parole, in quelle menti le due idee d’«indipendenza» e d’«Italia». E queste furono le deficienze (non, come si dice dal Sismondi ed altri, quella di una repubblica federativa; perciocché una tale era giá di fatto costituita nell’assemblea de’ consoli di ogni cittá; né sei secoli appresso, durante la rivoluzione tanto piú felice degli anglo-americani, s’ebbe mai niuna assemblea confederativa piú ordinata), queste furono le deficienze che perdettero tutto, che fecero inutili poi tutti gli altri fatti di quella guerra; queste, che fecero la Societá lombarda tanto meno gloriosa ed efficace che non le leghe posteriori delle Province unite di Neerlandia o d’America; queste, che rimangono scusabili forse per l’opinione mal avanzata o piuttosto pervertita dall’antico amore all’imperio, ma deplorabili ad ogni modo da quanti italiani sentano oramai la virtú di quelle due parole od idee. — Sei anni rimase allora l’Italia senza l’imperatore, occupato nelle sue cose germaniche; né la lega progredí guari piú. Genova, che avea privilegi assicurati e che non volea concordia ma guerra colla odiata Pisa, non aderí mai; e questa guerra delle due trasse seco quella di Toscana tutta, Lucca, Siena e Pistoia con Genova, Firenze e Prato con Pisa. E niuna di queste aderí, e tutte trattarono piú o meno con Cristiano, arcivescovo di Magonza, cancelliere imperiale e capitano d’eserciti; ed Ancona sostenne uno stupendo assedio contra questo prete guerriero, ma s’accostò non alla Societá, sí all’imperator greco, e cosí ebbe contro di sé Venezia. E finalmente, nefando a dire, in uno de’ giuramenti di confederazione, di societá, di concordia,