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artisti fiesolani 7


ebbe casa in Firenze nel Popolo di Santa Maria in Campo nella qual chiesa fu sotterrato nel 1466 il suo primogenito Giuliano.

Lavorò molto a Roma in Santa Maria Maggiore, in Santa Maria in Trastevere e nella Chiesa della Minerva.

Le opere sue migliori in Firenze sono i sepolcri del Conte Ugo e di Bernardo Giugni nella Badia. E nella Cattedrale di Fiesole il sepolcro ed il busto del Vescovo Leonardo Salutati, e di rimpetto, sormontata dall’immagine di Cristo una tavola marmorea con tre nicchie ove sono la Vergine, il Bambino e San Giovanni e nel piano inferiore un miracolo di San Remigio.

Di questo monumento Vernon Lee, in una Conferenza sulla scultura del Rinascimento dice:

«Il rilievo è voltato in modo da guardare dalla Cappella nel corpo della Chiesa; ed in tal modo che la testa della Madonna, ricevendo la luce come un segno di gloria sulla purissima fronte, proietta intorno a sè un nimbo di ombra circolare.

Rilievo maraviglioso codesto di Mino, per essere composto quasi esclusivamente di luce. Anzi si direbbe non rilievo, ma mirabile visione di bianche rose del Paradiso, i cui acerbi bocci e le acute spine - nutriti dall’incenso e dal sangue dei martiri - sono diventate poi le sottili labbra, gli occhi lunghi e stretti, l’acerbo virgineo corpo e le dita affilate di Maria».

Forse per lavorare a questo monumento prese Mino per qualche tempo la dimora a Fiesole, e da ciò, e dalla lode che per tale opera gli venne fu chiamato da Fiesole.

Ad ogni modo la vera causa si ignora. Egli venne a morte in Firenze l’undici Luglio 1484 e fu sepolto in S. Ambrogio.


Quel breve tratto di stradella tra la via Mantellini e le ville Kraus, ci addita nel corrotto suo nome dei Ferruzzi, la località ove ebbero le case i Ferrucci, famiglia di scalpellini che diede alle arti molti suoi figli per la maggior parte scultori.

Riporteremo a questo proposito le parole di Vernon Lee nella citata Conferenza:

«Gli scultori del 400 avevano dello scalpello una sicurissima pratica, quale non ebbero, nè sognarono pur di averla, gli antichi.

Nelle mani loro lo scalpello non era semplicemente un secondo stecco da modellare, riproducente nel marmo i delicati piani, le sottili concavità e convessità trovate prima nella creta.

Per questi tagliapietre delle colline Fiesolane, per questi orafi del Ponte Vecchio, lo scalpello era l’emulo della matita o del pen-