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Canto nono 191


Non così lontra astuta o foca sconcia
     In putid’acqua si dimena e sguazza,
     Come dentro alla fetida bigoncia
     Fino al mento costui nuota e gavazza;
     E sì la broda ove s’attuffa il concia,
     Che bestia par d’eterogenea razza,
     Anzi un vivente cesso, onde le gole
     Inghiotton fecce e sfiatano parole.

Quattro alunni sparuti e stomacosi,
     Che dello schifo pajono i ritratti,
     Gli stan dintorno attenti e curiosi,
     Ma co’ nasi tappati e i volti attratti.
     Sospende ad ora ad ora i gloriosi
     Tuffi il maestro, e con sermoni adatti
     In quelle quattro bocche semiaperte
     Gitta i tesori delle sue scoperte.

Ed ora, in un bicchier messo tre dita
     Di quella zozza torbida e fetente,
     Ad assaggiarla il più vicino invita,
     Ora a scrutarla ben gli offre la lente:
     Una cieca, diversa orda infinita
     Brulicar vede il vigile studente,
     E così nelle viscere commosso
     Riman, che rece al professore addosso.