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42 canto


32
     Cosí far mi promesse, e ne la ròcca
intatta mi mandò, come a lui venni,
né di baciarmi pur s’ardí la bocca:
vedi s’al collo il giogo ben gli tenni;
vedi se bene Amor per me lo tocca,
se convien che per lui piú strali impenni.
Al re d’Armenia andò, di cui dovea
esser per patto ciò che si prendea:

33
     e con quel miglior modo ch’usar puote,
lo priega ch’al mio padre il regno lassi,
del qual le terre ha depredate e vòte,
et a goder l’antiqua Armenia passi.
Quel re, d’ira infiammando ambe le gote,
disse ad Alceste che non vi pensassi;
che non si volea tor da quella guerra,
fin che mio padre avea palmo di terra.

34
     E s’Alceste è mutato alle parole
d’una vil feminella, abbiasi il danno.
Giá a’ prieghi esso di lui perder non vuole
quel ch’a fatica ha preso in tutto un anno.
Di nuovo Alceste il priega, e poi si duole
che seco effetto i prieghi suoi non fanno.
All’ultimo s’adira, e lo minaccia
che vuol, per forza o per amor lo faccia.

35
     L’ira multiplicò sí, che li spinse
da le male parole ai peggior fatti.
Alceste contra il re la spada strinse
fra mille ch’in suo aiuto s’eran tratti,
e mal grado lor tutti, ivi l’estinse;
e quel dí ancor gli Armeni ebbe disfatti,
con l’aiuto de’ Cilici e de’ Traci
che pagava egli, e d’altri suoi seguaci.