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2 canto

4
     a cui non par ch’abbi a bastar lor fame,
ch’abbi il lor ventre a capir tanta carne;
e chiaman lupi di piú ingorde brame
da boschi oltramontani a divorarne.
Di Trasimeno l’insepulto ossame
e di Canne e di Trebia poco parne
verso quel che le ripe e i campi ingrassa,
dov’Ada e Mella e Ronco e Tarro passa.

5
     Or Dio consente che noi sián puniti
da populi di noi forse peggiori,
per li multiplicati et infiniti
nostri nefandi, obbrobriosi errori.
Tempo verrá ch’a depredar lor liti
andremo noi, se mai saren migliori,
e che i peccati lor giungano al segno,
che l’eterna Bontá muovano a sdegno.

6
     Doveano allora aver gli eccessi loro
di Dio turbata la serena fronte,
che scórse ogni lor luogo il Turco e ’l Moro
con stupri, uccisïon, rapine et onte:
ma piú di tutti gli altri danni, fôro
gravati dal furor di Rodomonte.
Dissi ch’ebbe di lui la nuova Carlo,
e che ’n piazza venía per ritrovarlo.

7
     Vede tra via la gente sua troncata,
arsi i palazzi, e ruinati i templi,
gran parte de la terra desolata:
mai non si vider sí crudeli esempli.
— Dove fuggite, turba spaventata?
Non è tra voi chi ’l danno suo contempli?
Che cittá, che refugio piú vi resta,
quando si perda sí vilmente questa?