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354 canto


4
     — Astolfo, re de’ Longobardi, quello
a cui lasciò il fratel monaco il regno,
fu ne la giovinezza sua sí bello,
che mai poch’altri giunsero a quel segno.
N’avria a fatica un tal fatto a penello
Apelle, o Zeusi, o se v’è alcun piú degno.
Bello era, et a ciascun cosí parea:
ma di molto egli ancor piú si tenea.

5
     Non stimava egli tanto per l’altezza
del grado suo, d’avere ognun minore;
né tanto, che di genti e di ricchezza,
di tutti i re vicini era il maggiore;
quanto che di presenzia e di bellezza
avea per tutto ’l mondo il primo onore.
Godea di questo, udendosi dar loda,
quanto di cosa volentier piú s’oda.

6
     Tra gli altri di sua corte avea assai grato
Fausto Latini, un cavallier romano:
con cui sovente essendosi lodato
or del bel viso or de la bella mano,
et avendolo un giorno domandato
se mai veduto avea, presso o lontano,
altro uom di forma cosí ben composto;
contra quel che credea, gli fu risposto.

7
     — Dico (rispose Fausto) che secondo
ch’io veggo e che parlarne odo a ciascuno,
ne la bellezza hai pochi pari al mondo;
e questi pochi io li restringo in uno.
Quest’uno è un fratel mio, detto Iocondo.
Eccetto lui, ben crederò ch’ognuno
di beltá molto a dietro tu ti lassi;
ma questo sol credo t’adegui e passi. —