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348 canto


124
     Pur vo’ tanto cercar prima ch’io mora,
anzi prima che ’l crin piú mi s’imbianchi,
che forse dirò un dí, che per me ancora
alcuna sia che di sua fé non manchi.
Se questo avvien (che di speranza fuora
io non ne son), non fia mai ch’io mi stanchi
di farla, a mia possanza, glorïosa
con lingua e con inchiostro, e in verso e in prosa.

125
     Il Saracin non avea manco sdegno
contra il suo re, che contra la donzella;
e cosí di ragion passava il segno,
biasmando lui, come biasmando quella.
Ha disio di veder che sopra il regno
gli cada tanto mal, tanta procella,
ch’in Africa ogni casa si funesti,
né pietra salda sopra pietra resti;

126
     e che spinto del regno, in duolo e in lutto
viva Agramante misero e mendico:
e ch’esso sia che poi gli renda il tutto,
e lo riponga nel suo seggio antico,
e de la fede sua produca il frutto;
e gli faccia veder ch’un vero amico
a dritto e a torto esser dovea preposto,
se tutto ’l mondo se gli fosse opposto.

127
     E cosí quando al re, quando alla donna
volgendo il cor turbato, il Saracino
cavalca a gran giornate, e non assonna,
e poco riposar lascia Frontino.
Il dí seguente o l’altro in su la Sonna
si ritrovò, ch’avea dritto il camino
verso il mar di Provenza, con disegno
di navigare in Africa al suo regno.