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252 canto


96
     Qual buono astor che l’anitra o l’acceggia,
starna o colombo o simil altro augello
venirsi incontra di lontano veggia,
leva la testa e si fa lieto e bello;
tal Mandricardo, come certo deggia
di Rodomonte far strage e macello,
con letizia e baldanza il destrier piglia,
le staffe ai piedi, e dá alla man la briglia.

97
     Quando vicini fur sí, ch’udir chiare
tra lor poteansi le parole altiere,
con le mani e col capo a minacciare
incominciò gridando il re d’Algiere,
ch’a penitenza gli faria tornare,
che per un temerario suo piacere
non avesse rispetto a provocarsi
lui ch’altamente era per vendicarsi.

98
     Rispose Mandricardo: — Indarno tenta
chi mi vuol impaurir per minacciarme:
cosí fanciulli o femine spaventa,
o altri che non sappia che sieno arme;
me non, cui la battaglia piú talenta
d’ogni riposo; e son per adoprarme
a piè, a cavallo, armato e disarmato,
sia alla campagna, o sia ne lo steccato. —

99
     Ecco sono agli oltraggi, al grido, all’ire,
al trar de’ brandi, al crudel suon de’ ferri;
come vento che prima a pena spire,
poi cominci a crollar frassini e cerri,
et indi oscura polve in cielo aggire,
indi gli arbori svella e case atterri,
sommerga in mare, e porti ria tempesta
che ’l gregge sparso uccida alla foresta.