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ventesimoprimo 157


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     — No, no (disse Filandro) aver mai spene
che non sia, come suol, mia vera fede,
se ben contra ogni debito mi avviene
ch’io ne riporti sí dura mercede,
e di me creda il mondo men che bene:
basta che inanti a quel che ’l tutto vede
e mi può ristorar di grazia eterna,
chiara la mia innocenzia si discerna.

33
     Se non basta ch’Argeo mi tenga preso,
tolgami ancor questa noiosa vita.
Forse non mi fia il premio in ciel conteso
de la buona opra, qui poco gradita.
Forse egli, che da me si chiama offeso,
quando sará quest’anima partita,
s’avedrá poi d’avermi fatto torto,
e piangerá il fedel compagno morto. —

34
     Cosí piú volte la sfacciata donna
tenta Filandro, e torna senza frutto.
Ma il cieco suo desir, che non assonna
del scelerato amor traer construtto,
cercando va piú dentro ch’alla gonna
suoi vizii antiqui, e ne discorre il tutto.
Mille pensier fa d’uno in altro modo,
prima che fermi in alcun d’essi il chiodo.

35
     Stette sei mesi che non messe piede,
come prima facea, ne la prigione;
di che il miser Filandro e spera e crede
che costei piú non gli abbia affezïone.
Ecco Fortuna, al mal propizia, diede
a questa scelerata occasïone
di metter fin con memorabil male
al suo cieco appetito irrazionale.