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ventesimo 145


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     E sospirando: — Ohimè, Fortuna fella
(dicea), che cambio è questo che tu fai?
Colei che fu sopra le belle bella,
ch’esser meco dovea, levata m’hai.
Ti par ch’in luogo et in ristor di quella
si debba por costei ch’ora mi dai?
Stare in danno del tutto era men male,
che fare un cambio tanto diseguale.

133
     Colei che di bellezze e di virtuti
unqua non ebbe e non avrá mai pare,
sommersa e rotta tra gli scogli acuti
hai data ai pesci et agli augei del mare;
e costei che dovria giá aver pasciuti
sotterra i vermi, hai tolta a perservare
dieci o venti anni piú che non devevi,
per dar piú peso agli mie’ affanni grevi. —

134
     Zerbin cosí parlava; né men tristo
in parole e in sembianti esser parea
di questo nuovo suo sí odioso acquisto,
che de la donna che perduta avea.
La vecchia, ancor che non avesse visto
mai piú Zerbin, per quel ch’ora dicea,
s’avvide esser colui di che notizia
le diede giá Issabella di Galizia.

135
     Se ’l vi ricorda quel ch’avete udito,
costei da la spelonca ne veniva,
dove Issabella, che d’amor ferito
Zerbino avea, fu molti dí captiva.
Piú volte ella le avea giá riferito
come lasciasse la paterna riva,
e come rotta in mar da la procella,
si salvasse alla spiaggia di Rocella.