Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. II, 1928 – BEIC 1738143.djvu/140

134 canto


88
     Come aiutar ne le fortune estreme
sempre si suol, si pone il corno a bocca.
Par che la terra e tutto ’l mondo trieme,
quando l’orribil suon ne l’aria scocca.
Sí nel cor de la gente il timor preme,
che per disio di fuga si trabocca
giú del teatro sbigottita e smorta,
non che lasci la guardia de la porta.

89
     Come talor si getta e si periglia
e da finestra e da sublime loco
l’esterrefatta subito famiglia,
che vede appresso e d’ogn’intorno il fuoco,
che mentre le tenea gravi le ciglia
il pigro sonno, crebbe a poco a poco;
cosí, messa la vita in abandono,
ognun fuggia lo spaventoso suono.

90
     Di qua di lá, di su di giú smarrita
surge la turba, e di fuggir procaccia.
Son piú di mille a un tempo ad ogni uscita:
cascano a monti, e l’una l’altra impaccia.
In tanta calca perde altra la vita;
da palchi e da finestre altra si schiaccia:
piú d’un braccio si rompe e d’una testa,
di ch’altra morta, altra storpiata resta.

91
     Il pianto e ’l grido insino al ciel saliva,
d’alta ruina misto e di fraccasso.
Affretta, ovunque il suon del corno arriva,
la turba spaventata in fuga il passo.
Se udite dir che d’ardimento priva
la vil plebe si mostri e di cor basso,
non vi maravigliate, che natura
è de la lepre aver sempre paura.