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canto ventesimo 113


4
     Or pur tornando a lei, questa donzella
al cavallier che l’usò cortesia,
de l’esser suo non niega dar novella,
quando esso a lei voglia contar chi sia.
Sbrigossi tosto del suo debito ella:
tanto il nome di lui saper disia.
— Io son (disse) Marfisa:— e fu assai questo;
che si sapea per tutto ’l mondo il resto.

5
     L’altro comincia, poi che tocca a lui,
con piú proemio a darle di sé conto,
dicendo: — Io credo che ciascun di vui
abbia de la mia stirpe il nome in pronto;
che non pur Francia e Spagna e i vicin sui,
ma l’India, l’Etïopia e il freddo Ponto
han chiara cognizion di Chiaramonte,
onde uscí il cavallier ch’uccise Almonte,

6
     e quel ch’a Chiarïello e al re Mambrino
diede la morte, e il regno lor disfece.
Di questo sangue, dove ne l’Eusino
l‘Istro ne vien con otto corna o diece,
al duca Amone, il qual giá peregrino
vi capitò, la madre mia mi fece:
e l’anno è ormai ch’io la lasciai dolente,
per gire in Francia a ritrovar mia gente.

7
     Ma non potei finire il mio vïaggio,
che qua mi spinse un tempestoso Noto.
Son dieci mesi o piú che stanza v’aggio,
che tutti i giorni e tutte l’ore noto.
Nominato son io Guidon Selvaggio,
di poca pruova ancora e poco noto.
Uccisi qui Argilon da Melibea
con dieci cavallier che seco avea.