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90 canto


36
     Poi ch’ebbe il vero Arïodante esposto
de la mercé ch’aspetta a sua fatica,
Polinesso, che giá s’avea proposto
di far Ginevra al suo amator nemica,
cominciò: — Sei da me molto discosto,
e vo’ che di tua bocca anco tu ’l dica;
e del mio ben veduta la radice,
che confessi me solo esser felice.

37
     Finge ella teco, né t’ama né prezza;
che ti pasce di speme e di parole:
oltra questo, il tuo amor sempre a sciochezza,
quando meco ragiona, imputar suole.
Io ben d’esserle caro altra certezza
veduta n’ho, che di promesse e fole:
e tel dirò sotto la fé in secreto,
ben che farei piú il debito a star cheto.

33
     Non passa mese, che tre, quattro e sei
e talor diece notti, io non mi truovi
nudo abbracciato in quel piacer con lei,
ch’all’amoroso ardor par che sí giovi:
sí che tu puoi veder s’a’ piacer miei
son d’aguagliar le ciance che tu pruovi.
Cedimi dunque e d’altro ti provedi,
poi che sí inferior di me ti vedi. —

39
     — Non ti vo’ creder questo (gli rispose
Arïodante), e certo so che menti;
e composto fra te t’hai queste cose
acciò che da l’impresa io mi spaventi:
ma perché a lei son troppo ingiurïose,
questo c’hai detto sostener convienti;
che non bugiardo sol, ma voglio ancora
che tu sei traditor mostrarti or ora. —