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56 canto


56
     Quel ch’in pontificale abito imprime
del purpureo capel la sacra chioma,
è il liberal, magnanimo, sublime,
gran Cardinal de la Chiesa di Roma
Ippolito, ch’a prose, a versi, a rime
dará materia eterna in ogni idioma;
la cui fiorita etá vuol il ciel iusto
ch’abbia un Maron, come un altro ebbe Augusto.

57
     Adornerá la sua progenie bella,
come orna il sol la machina del mondo
molto piú de la luna e d’ogni stella;
ch’ogn’altro lume a lui sempre è secondo.
Costui con pochi a piedi e meno in sella
veggio uscir mesto, e poi tornar iocondo;
che quindici galee mena captive,
oltra mill’altri legni, alle sue rive.

58
     Vedi poi l’uno e l’altro Sigismondo.
Vedi d’Alfonso i cinque figli cari,
alla cui fama ostar, che di sé il mondo
non empia, i monti non potran né i mari:
gener del re di Francia, Ercol secondo
è l’un; quest’altro (acciò tutti gl’impari)
Ippolito è, che non con minor raggio
che ’l zio, risplenderá nel suo lignaggio;

59
     Francesco, il terzo; Alfonsi gli altri dui
ambi son detti. Or, come io dissi prima,
s’ho da mostrarti ogni tuo ramo, il cui
valor la stirpe sua tanto sublima,
bisognerá che si rischiari e abbui
piú volte prima il ciel, ch’io te li esprima:
e sará tempo ormai, quando ti piaccia,
ch’io dia licenzia all’ombre, e ch’io mi taccia. —