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sestodecimo 353


12
     Ma Fortuna di me con doppio dono
mostra d’aver, quel che non hai tu, cura:
mandommi il fratel mio, col quale io sono
sin qui venuta del mio onor sicura;
et or mi manda questo incontro buono
di te, ch’io stimo sopra ogni aventura:
e bene a tempo il fa; che piú tardando,
morta sarei, te, signor mio, bramando. —

13
     E seguitò la donna fraudolente,
di cui l’opere fur piú che di volpe,
la sua querela cosí astutamente,
che riversò in Grifon tutte le colpe.
Gli fa stimar colui, non che parente,
ma che d’un padre seco abbia ossa e polpe:
e con tal modo sa tesser gl’inganni,
che men verace par Luca e Giovanni.

14
     Non pur di sua perfidia non riprende
Grifon la donna iniqua piú che bella;
non pur vendetta di colui non prende,
che fatto s’era adultero di quella:
ma gli par far assai, se si difende
che tutto il biasmo in lui non riversi ella;
e come fosse suo cognato vero,
d’accarezzar non cessa il cavalliero.

15
     E con lui se ne vien verso le porte
di Damasco, e da lui sente tra via,
che lá dentro dovea splendida corte
tenere il ricco re de la Soria;
e ch’ognun quivi, di qualunque sorte,
o sia cristiano, o d’altra legge sia,
dentro e di fuori ha la cittá sicura
per tutto il tempo che la festa dura.