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In questo Sigismondo, non parendo stare piú, ché in posta stava, sopragiunse e disse: — Monsignor, prego la Vostra Signoria non me facia torto per questo prete forastiero, ché questo beneficio de San Donino don Raptista a mi lo promise per uno mio figliolo, che lui tenne al baptesimo, e renunziòmelo, come apare per questo scripto de sua mano; e vedetilo qua. — Che scriptarino! che promessa ! — disse don Ateon tutto irato, fremendo li denti. — E1 non vale niente questa promessa, e manco il scriptarino, quale non è pur bastante al cacatoio. L’andará per altra via, per il baptesimo che io ho in testa, iotto ribaldo che sei! Tu hai assasinato quello povero benificio: se io li fusse stato, te avrei tagliato il naso e l’orechie, e per le culture te averia facto lassare le buelle. — Tu me dici iotto? Ah! ribaldo prete, mezo frate, ingannatore de Cristo! Tu credi essere venuto da Ferrara e uscito di frati a tòre li benifici de li citadini de Bologna e a li amici de questa casa? Io te ne impagarò. Oh ! fusse piaciuto a Dio che tu li fusse stato, quando faceva tagliare le arbore, ché te averei, cum quella ronca avea in mano, gettata la chierica in terra. — Tu averesti cacato! — disse don Ateon. —Tu menti per la gula che sii amico de questa casa; anci sei pessimo inimico. Cuciatelo via, monsignore, de casa, ché l’è uno traditore. — Respondendo Sigismondo che lo ucciderebbe, messer leronimo Sampiero, cum quella sua mansuetudine e dolce maniera, disse ridendo: — Non gridate! non gridate! Voi dovresti avere qualche rispecto, per reverenzia de monsignore, ad u.sare queste parole. E1 se vòle andare al indice del podestá, perché el ne va altro che zanze a discipare le arbore de le possessione per questa via. — Il protonotario disse era ben facto, e Sigismondo borbotando se partitte da monsignore e de la camera; poi retornò al protonotario, mostrando parlarli piano, per empire don Ateon ben de suspecto, dicendo: — Monsignore, quel che ho facto, io ho creduto fare come cosa de mio figliolo. Cusi ve prego, come promesso me aveti, scrivere a Cento al patriarca, fratello del reverendissimo cardinale ad vincula, defensore de la Chiesia, nostro episcopo, che me confírmi questa promessa e renunzia. — E, decto questo, mostrandose partire, don Ateon, presto che questo audito avea, se acostava al protonotario: — Per niente, monsignor, non scriveti, non scriveti! — Non ubiate paura: io non scriverò.— E Sigismondo, tocando il tordo, retornava e dicea che scrivesse, ch’el cavalaro portaria la lettera batendo. E don Ateon, superchiato da timore e da ira, disse: — lo t’ho ben inteso. Tu averai piú