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s’el fusse una matre, che parturisse in uno obscuro carcere alcuni epso la grandezza figliuoli carcere, e de e, quelli da la terra, poi poi che nutrisse de fusseno la amenitá e allevasse cresciuti, di fonti ne glie e le di recitasse tenebre fiumi, de de de la viriditá de le sii ve e di campi, e del quotidiano orto e occaso del sole, de l’amplitudine del cielo, de la moltitudine de le stelle e sua perp>etua luce, del moto e del corso de lí animali terrestri e de le sue diverse e varie figure, di colori e di canti de li iicelli, e de tante meraviglie e legiadre, che cum gli occhi propri vedemo e cum le mano illustreniente op>eramo, veramente credere dobiamo che li figliuoli, che mai pivi non videno né tale e tante cose intesene, non prestarebbeno fede a la matre, che gliele recitasse. E, se epsa matre a quilli persuadesse che de quello tenebroso carcere uscire volesseno, chi dubita che alcuno di loro a lei non credesse e voluntiera non volesse uscire de quello, per vedere tanti beni e maraviglie? e che alcuno ancora non li contradicesse, dicendo uno di loro a l’altro: — Fratello mio, le cose, che ha narrato a noi nostra matre, non son vere né credibile certamente; e perciò usamo la nostra presente sorte, quale è che noi in questo luoco restiamo, come finora facto abiamo, salvo se un meliore luoco, magior bene e pivi degno abitacolo manifestamente trovassimo. — ? A le quale parole e disputazione s’el fusse presente un di noi, li quali vedemo oculatamente tutte quelle cose, le quali recita la matre a li figliuoli, essere vere, quanto se maravigliaressemo, vedendo la tarditá e cognoscendo la incredulitá de la fede di figliuoli ! Non altrimenti adunque gli angeli, li quali hanno vera scienzia de tutte le celeste e terrestre cose, se doleno e maravigliano vedendo li nostri ingegni titubanti, li nostri sensi pigri e la ignavia e socordia de le nostre mente, iudicandoce de le tenebre e d’ogni miseria degni, poiché ce vedono si avidamente desiderar questa caduca e lutulente vita. Oh felice adunque quelle anime, quelle mente, quelli spiriti, ne li quali è giá l’amore e il fervore de quella patria celeste ed eterna in suso, perché, essendo ancora ligati in questa corporea mole, sono aspersi de l’odore de quella immortale e