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NOVELLA LVIII

Bruschino, di mentre se sentenzia a la morte uno ladro, fura cum pia* cevole astuzia uno paro de caponi, per i quali è frustato; e, non volendo per il meglio avere la data castigazione, è liberato.

E1 mio parlare, che breve fia, non será per disputazione, ma per piacere e solazzo nostro, e in recordazione che io non vorebbe mai patire male alcuno, per dire poi : — L’è stato per 10 meglio, — secundo s’è audito ne la narrata novella. Magnifico conte, clarissimi gentilomini e voi donne bellissime e prestante, per questo adunque sapere dovete che, regnante i Pepuli, gid dignissimi principi de la citá nostra, fu uno dato totalmente al vizio, nominato Leonardo, ma chiamato per altro Bruschino, perché era da Bruscolo, oppido del nostro territorio, ma al presente destrecto de li illustri signori fiorentini, a casone che in quilli tempi li nostri magiori, credo per loro usate sedizione, non erano curiosi e zelanti di beni de la nostra giá opulente republica. Ma, se la fortuna, de l’altrui prosperitá invidiosa, li magnanimi pensieri de lo excelso principe de la citá nostra, Zoanne Bentivoglio, non avesse interropti e cum ingrata morte terminati, el dicto castello de Broscolo, el Caprenno, Pancaldoli e la Sambuca, cum grazia de’ fiorentini, per il bolognese onore e per gloria ed augumento \lel Stato de quello, averebbe vendicati e facti nostri, e sarebbe de’ fiorentini el mottevole parlare extincto, che diceva: — Noi abiamo il vino brusco, el pan caldo, 11 capretto e il sambuco, e ne manca solamente el Casuolo — cioè el castello de Casi — a far le buone frictelle. — Ma, retornando al nostro primo intento de Bruschino, per recordo del cui nome ho facto questa poca digressione, dico che, secondo che ho inteso molte volte dire in la nostra citá. Bruschino, delectandose del gioco de azaro, perdette in breve tempo quanta roba avea, benché poca ne avesse. Di che remaricandose cum uno suo