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mèle, che spande parole de tanta suavitá che romperebbeno i duri marmi e riscaldarebbeno un cor gelato? — Signor mio — respondeva ella, — è vostra, e de voi per piacere sempre parla. — Queste colorite guange mescolate cum el lampegiante bianco, speranza mia, di chi sono? — e devali tuttavia pian piano de le gotate e poi li accostava il viso a lato il suo. — Sono vostre — respondeva lei, —signor mio grazioso. —E questo collo, che mostra de avolio, di chi è, dolce perla bella? — Ogni cosa è di voi, signor mio bono. — 11 quale, per le benigne e piacevoli risposte tuttavia de amorosa dolcezza distillandose, infinite volte la basiava e rebasiava. E poi, discendendo al pecto, dicea ponendoli sopra la mano: — Questo pedo prezioso, ornato de tante gemme orientale, di chi è, bellissima giovene? — L’è vostro, signor mio — respondeva lei. — E non de altri? — dicea el signor. — Non de altri certamente — dicea lei. — Io te ringrazio sommamente, perché a mi è sopra ogni altra cosa raro. Quale tesoro de questo è di piú valore, anima mia? — E, decto questo, li poneva sopra il suo viso, che certo per suavitá de l’animo sopra li versava alcune lacrimette. E cusi poi, a l’altre parte descendendo, pose la mano drieto a le parte de misser lo tondo, dandoli sopra cum suo gran piacere circa tre volte. Le quale, essendo carnose, brinate e fresche, facevano una certa melodia, a la quale ogni sviato e fastidito gusto revenuto sarebbe, dicendo : — Di chi sono queste parte candide, fresche e tonde? Di chi sono, conforto de l’anima mia? — E lei, mottegiando, respondeva: — Sono del Gallante, signor mio saporito. Non volete che mio marito abbia lui ancora qualche cosa? — Anzi voglio — respose el signore, ridendo — che queste siano sue, perché me rendo certo che li debbano molto piacere. — Allora el Gallante, che sotto el lecto iaceva, avendo avuto piú volte ardentissima voglia monstrarse cum gran dispiacere del suo signor e de la donna, i>erché, a dir el vero, aveva avuto a molesto infinitamente a udire e sentire manegiare per quello modo le carne sue, dicendo forse in suo core: — O Elena ribalda, simile careze a me non festi mai! — come existimare potete, perché non credo che al mondo sia piú duro e aspro