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NOVELLA XLIII

Uno gentilomo al Bentivoglio fínge esser punto da uno aspido sordo. Uno medico per guarirlo li dá la medicina; e, quella mostrando il giovene non poter retenere, la getta nel viso al medico, e poi, cum gran solaazo, in luoco de la spera ènea li mostra misser lo tondo, acciò non erri in la rasone de la luna. L’è giá circa decesepte giorni, splendido conte, clarissimi gentilomini e voi generose donne, ch’el mio singular signor, misser Zoanne Bentivoglio, cavaliero illustre, essendo ito cum onorata e piacevole compagnia de gentilomini e cavalieri ad ucellare a pernigoni al ponte Poledrano (cognominato ora iustamente Bentivoglio per essere da Sua Amplitudine de fosse, de acque, de ponti, de forti mura, de degne abitazione, cum belli e pomposi ornamenti magnifícamente edificato, e ampliato de belle e ricche possessione, come alcuni de voi hanno veduto e inteso dire), li capitò un nostro medico, che, quantunque se tegna cima degli altri fisici, potrebbe esser piú docto e venturato assai, el cui nome, per non detraere al suo onore, sotto silenzio voglio passare. Or, come accade che ne le gran compagnie sempre si trovano de quilli, di quali l’uno piú che l’altro nota le pòrte parole altrui, o prudente o bestiale che se siano, e chi le piglia a noglia e chi a solazo, secondo la sensualitá overo appetito umano, ad venne che, trovandose alora al Bentivoglio uno piacevole giovene gentilomo, per avere buon tempo prima, e alora piú che mai, cognosciuto la excellenzia, overo piú presto ignoranzia e presumpzione del medico, desiderò cum gran solazo giuntarlo, senza averli alcuno reguardo, nel modo odereti. E, intcndendose cum uno suo compagno de quello volea fare, e dato ordine seco ad ogni cosa, una sera, essendo venuto cum la sua compagnia misser Zoanne da ucellare e avendo presi de molti ucelli, tutti lietamente cenarono, ragionando de S. DEGÙ Arihnti, Porretane. 17