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NOVELLA XXXI

Madonna Sulpicia di Tebaldi inopinatamente è richiesta del suo amore da uno suo amante, e lei, come savia, cum piacevole ris^>osta se difende: dove ramante resta vergognato.

La bona memoria de Simone mio genitore, magnifici gentilomini e voi graziose donne, dimorando a Bologna in sua gioventute, ebbe un giovene per compagno, de clara famiglia, il cui nome, per non darli schernimenio, sotto silenzio voglio passare. Costui amando oltra modo una bella, onesta donna di Tebatdi, famiglia nobile de la cita de Bologna, il cui nome fu madonna Sulpicia, accadde che, essendo ella ita a nozze a casa de Enrico de li Ucellani, suo vicino, che menava moglierc una figliuola de misser Porfirio di Fanluzi, doctore degno e de molta reverenzia, questo giovene, cum multi altri parati al servizio de le trionfale nozze, vedendo la donna partirse de la ornata sala, dove se fesiegiava, e andare per sua opportunitá, come è usanza a le volte, in una parte assai remota de la casa in compagnia de una sua vicina, li andò dextramente drielo, e cum bel modo e astuzia (come insegna Amore a li suoi fervidi soldati) pervenne da questa donna, quantunca li fosse prima alquanto proibito da la compagna el passare. Ma lui cum umane parole dicendoli era de bisogno li parlasse presto per cosa importantissima, il lassò passare: dove essendo giunto, cum voce rauca e tremula dixe: — Madonna Sulpicia, regina de l’anima mia, non ve maravigliate né me ascrivete a presumpzione se io sono venuto qui da la Vostra Altezza, perché la gran passione, che me cuoce el core d’amore per voi, n’è sola casone, non avendo mai avuto luoco, tempo né modo potervi parlare in corso de tanto tempo ve ho amata. E credo certamente ch’io morirò per superchio