Pagina:Arienti, Giovanni Sabadino degli – Le porretane, 1914 – BEIC 1736495.djvu/180

la sua gentil natura a questo splendido e signoril costume (come ho decto) era molto inclinata, e de avarizia nascondiirice e de tutte le virtú mortale inimica. Onde, per venire a reffecto del mio intendimento, dico che, essendo a dlsenare ne la regia sala 10 imperatore, il buffone del re, uomo prudentissimo e de perspicace ingegno, presentandose a la imperiale mensa, mostrò tali effecti de la sua virtú, si in parlare de varie lingue (nel che era peritissimo), come ancora in narrare festevole e dolce facezie e far giochi e acti molto affabili e legiadri de la pversona, che l’imperatore e tutti li baroni e astanti ne preseno singular solazo e delectazione. Per il che, levato l’imperatore da mensa, comandò che li fosse donato un ducato d’oro in premio de la sua virtú. E forsi ordinò de molti piú che credere se debbe; ma la infidelitá di servitori acecati dalla pessima avarizia, de tutti i mali ferma radice, è casone alcuna volta de tali e magiori mancamenti. Ma, come se fosse, uno solo ducato ebbe il buffone. 11 quale, considerando che le sue facezie, non per denari né per altro premio, ma solo per onorare il suo signore re, usate denanti a lo imperatore, dovesseno avere avuto qualche dono degno del suo signore e de la cesarea Maiestá de l’imperatore, e questo termine assai indiscreto reputando, deliberò, come magnifico latino e degno sugelto de tanto principe, de far al suo buffone qualche presente degno della grandeza del suo principe e del suo animo valoroso. Onde, invitato la sequente matina a de.senare seco il buffone de lo imp)eratore, li dette uno prandio de apparato, de servitori, de vivande e de ogne altra cosa opportuna tanto compiuto e degno, che ad ogni gran signore bastato sarebbe. Inde, finito quello, tractose una rica vesta de brocato d’oro de dosso, quella cum una bellissima borsa, dove avea posto ducento ducati d’oro, donò al buffone de lo imperatore, dicendo: — Fratello mio caro, la excelsa magnificenzia del mio signor re e augusta sua liberalitate me hanno erudito de sapere e poter fare de questi e magiori doni, li quali quando non siano quanto convirebbe a l’Alteza del tuo sacro Cesare, del quale tu sei cavaliero araldo, me ne rincresce assai. Te li dono molto voluntiera, paratissimo sempre a far cosa che te piaza, dove io me trovi. —