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re, nebulandose tutto nel viso. — Dixe maestro Aristotile: — Io vel dirò poi da vui e da me. — Alora il re, acomiatando ognuno de la camera, per sapere che infirmitate avea, dixe: — Maestro, che male ho io, che cusi grave el reputate? — Respose maestro Aristotile: — Signor re mio, la infirmitate che avete si è che, per il caldo vostro, la iustizia non è temuta; il che non essendo, presto col vostro Stato ve vedo finire, per quello che cum mia grande passione e perpetua vergogna intenderete. Vui me avete, fa multi anni, cavato de la dolce patria mia, donde, abandonati li pareuii e amici, sono venuto a la conservazione de la valitudine vostra, servendo sempre cum tanta fede e diligenzia la vostra corona e tutta la vostra corte, quanto dire se possa, secando el parere mio; reputandome sopra ogni altro contento e felice, per essere alla cura de la salute de la regale Vostra Excellenzia stato electo. Ma ora ogni bene e felicitá s’è converso in amaritudine e perpetua vergogna, peroché il vostro «caro cavaliero», da megio giorno entrato in casa mia, per forza ha violato l’unica mia figliuola, che è quanto bene ho in questo mondo. Onde, se fia questo mancamento tolerato da voi, oltra la mia perpetua vergogna, sera casone de la vostra infirmitá mortale. — 11 re, intendendo tanto delieto e non essendo senza grave dispiacere, come prudente principe, dixe: — E questo vero? — Vero è, sacra Maiestá — respose maestro Aristotile. — A cui, senza piú altro dire, dixe il re: — Domatina a bona ora fate che quivi vui, vostra mogliere e vostra figliuola secretamente a me ve presentate, ché senza documento de Avicenna e fisico remedio intendo liberare questa mia infirmitá mortale. — E, ordinato al camaricro che, come giugnesse la matina sequente maestro Aristotile a l’usso de la camera, il ponesse dentro lui e chi fusse seco incontinenti, venuta la matina, cusi fece. Il re adunque, cominciando cum savio e discreto modo examinare la cosa per intendere la veritá, dove li parve sapere quello era bisogno, subito mandò per ile caro cavaliero»; il quale venuto, vedendo maestro Aristotile, la moglie e la figliuola, se smaritte assai, dubitando de qualche dura penitenzia per il suo scelerato stupro. Onde il re li dixe: — Cavaliero caro.