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novella i 9

Resposi io: — Dunque se mangia in questo luoco? — Se beve e mangia alla gagliarda — me fu risposto. Alora dissi: — Da poi che quivi se golde e squaquara, non me voglio piú partire. — Si che, per il barbuto sancto Antonio, poi che li se trionfa e dasse piacere, buon tempo e chiara vita, intendo ch’el beneplacito, quale usate voi a la domestica, sancto Padre, piú che tutti li altri, cum li vostri figlioli cardini della Chiesia, me sia licito. — E, decto questo, mandando fuori uno festevole grido cum uno saltoletto insuso, incominciava a parlare de opere d’arme e de gran facti de guerra, e, prendendo la striglia in mano, scrimiva denanti a quelli re, principi e signori, e poi in nome de loro respondeva le magior papolate del mondo. E, facto questo, ponendo il mondo sotto sopra in arme, diceva: — Fratelli miei, se non sequireti il mio volere e consiglio per amore del maco e della suppa, cadareti nella mia disgrazia, se ben dovesse spendere questa mia corona, — ponendo tuttavia la mano sopra una carta tonda dorata avea in capo. E come existimava avere in questo piacere consumato l’ora, talvolta piú presto e talvolta piú tardi usciva de la camera e andava a spazare la casa e a strigliare li cavalli, e a far tutte quelle altre cose, che gli erano state commesse e imposte, cum summa diligenzia. E a questo modo, becandose dolcemente il cervelletto, se persuadeva per quel tempo essere imperatore.

Del qual tempo maravigliandose misser Piero, né potendo pensare né imaginare in che cosa Trionfo el spendesse, deliberò vederne l’effecto: onde, postose un giorno secretamente in ascosto, vide il suo Trionfo, per una certa fessura del muro de la camera, far questo solazzo. Di che, credendo scoppiare seco de le risa, vòlse che alcuni suoi domestici partecipassono seco tanto piacere, fra’ quali la bona memoria del mio padre dixe era stato uno de quilli che l’avea cum un grandissimo solazzo inteso e veduto. Dove, quando poi parve tempo a misser Piero avere preso assai piacere de lui, dixe: — O Trionfo mio, io me alegro summamente, a consolazione de’ tuoi e della tua patria, che de servo de cavalli sii imperatore de cristiani divenuto: cosí te priego, fin che Fortuna te mantiene ne la felice summitá de la