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isnervate e inculte. Peroché io, che, senza sapere a pena leggere, son tra gli scrittori, non intendo punto di quel che si ricerchi la oda, la elegia e lo epigramma: di maniera che chi mi vòle esprimere ne la forma d’un verace essempio, dica che io simiglio ne la lama datami a lo esser d’un pollo, le cui ale non lo aiutano a volare in alto, ché non posson tanto, ma lo sostengono in modo, mentre se ne vien giuso, ch’ei non si fiacca in terra. Si che io mi risolvo a far piú conto de l’amore che mi dimostrate che del pregio nel qual mi tenete, onde me vi do in preda con la integritá de quello animo che io avrò di sempre compiacervi. E, perché la faccia de l’amico è lo specchio de l’amicizia, prego Iddio che mi conceda tanto di favore, che ci possiam conoscere in presenzia come ci conosciamo in assenzia: ché, essendo cosi, le sincere fraternitá de la benivolenzia, nel vedersi rapresentare da le nostre fronti proprie le intenzioni dei cori di noi medesimi, ne dilettaranno ineffabilmente. In cotal mezzo presuppongansi le carte, che ci mandarem l’un l’altro, in luogo de la desiderata conversazione e invece dei visibili colloqui. Di Vinezia, il 3 d’aprile 1541.

DLXXXVIII

AL DUCA COSIMO

Esulta per la nascita di Francesco de’ Medici. La mia anima, o signore, è ripiena di si nuova, di si vivace e di si altèra gioconditá, che non cape in se stessa. Ed è ben dritto che ella si distrugga nel fervore de la consolazione, poiché, nel nascervi un figliuolo, è nato a Cesar lealtá, a Italia ornamento, a Toscana gloria, a Fiorenza unione, ai Medici stabilitá, ai sudditi idolo, agli aversari freno, agli umili indulgenzia, ai giusti rifugio, ai poveri abondanza, ai virtuosi sostegno, a la lode fiato, a l’onore gravitá, a la fama obietto e agli inchiostri materia. Talché la benigna constcllazione di quella influenza,