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DI-XXXV A ARAINDIN BARBAROSSA Re d’AIgieri Ne loda il valore, gli raccomanda di esser pietoso verso i cristiani fatti da lui prigionieri e gli si presenta. Salve, o re inclito, bassá degno, capitano invitto e uomo egregio. Salve, dico, poiché la tua generositá, la tua altezza, il tuo valore e la tua prudenzia ti sostengono con illustre titolo ne la singular grazia de la tremenda e benigna Maestá di Solimano massimo imperadore. Per la qual cosa la invidia, che altri portava ai tuoi gran meriti, si è trasferita ne la mente del sole, peroché i raggi del suo lume rilucono a pena il giorno e i lampi de la tua gloria risplendono il giorno e la notte; onde il grido de la Fama, che ti incorona di Iodi eterne, trapassa in quelle parli del mondo, ne le quali non può trapassare la fiamma de la luce, che egli ci porge. Talché il tuo nome è noto a piú nazioni, a piú popoli e a piú genti che non è il suo. E di qui viene che tutte le lingue lo imparano, lo riveriscono e lo divulgono; onde superi con la propria riputazione quanto onore, mercé de Farmi e bontá del consiglio, si acquistar mai quegli antichi greci, da cui la Signoria Tua trae la preclarissima origine. Si che rallégratene e, rallegrandotene, se non vuoi amare la generazion cristiana, scemale almeno l’odio; conciosiaché la benignitá sua, la quale abborisce le fierezze che ti mostron rigido, e non Fazzioni che ti rendon chiaro, essalta i miracoli de le tue prove infin sopra le stelle. E, per piú tuo grado, ella ha fatto imprimere lo essempio de la tua faccia altèra, c, contemplandola sempre con solenne ammirazione, scorge in mezzo a lo spazio de la tua fronte e dentro al cerchio dei tuoi occhi quella prestanzia grave e quello ardir terribile, con cui raffreni e ispaventi non solo le schiere che cavalcano il mare, ma le tempeste che lo commovono. Intanto