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A MESSER BERNARDIN MOCCIA

Per quanto gratissimo della pensione di tento scudi Panno concessagli

dal marchese del Vasto, avrebbe preferito che si fatta generositá avesse seguito, non preceduto l’invio della Vita di san Tommaso d’Aquino , della cui composizione pone in rilievo le difficoltá. Se fosse lecito che i servi riprendessero i padroni, io ardirei di riprendere il nostro circa i cento scudi datimi di presente e degli altretanti ordinatimi lo anno in anno del futuro; conciosiaché esso doveva prima legger l’opra, e poi remunerarmene, in modo che la qualitá del dono non recasse in lui pentimento e in me superbia. Egli potria, nel ritrovarla altrimenti clic non si stima, pentirsi di avermi beneficato; e io potrei, credendomi aver fatto quel che forse non ho, insuperbirmi del premio: onde il suo giudi/.io verrebbe a scemare nel mio demerito, e il mio demerito a crescere nel suo giudizio. Ma, perché il sapere, che regge si gran principe, rimanga nel solito avedimento e la sufficienza, che mi fa cedere, si resti ne lo istesso grado, accetto ciò, come cosa de la candida cortesia di lui e non come guiderdone dovuto a le fatiche di me, che tremai, udendo impormi il descrivere l’istoria di quel Tomaso d’Acquino, che in dottrina e in santitá superò piu teologi che Alfonso d’Avolo in riputazione e in virtú non vince cavalieri. Certo, io, nel considerare a cosi grave impresa, simiglio un soldato piú valente ne l’altrui oppenione che animoso in se medesimo; il quale, ismarrito ne la grandezza di quella fazzione in cui lo spinge la necessitá de la forza, non sa che farsi del core né de le gambe. E, si come egli, entrato nel rischio del pericolo, col non poter piú, dimostra di far quel ch’ei può; cosi io, nel pormi a lo studio di si divin negozio, col non mancare a ciò che debbo, non mi ritrarrò dal compor quel ch’io so. Intanto ringrazio l’umano de la gentilezza. che vi ha mosso a procurare il mio bene e a offerirmi