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tosto, avenga che non veggo principe che mi ricrei nel contemplarlo, come mi recreate voi. E di ciò fa fede la speranza, che ne le magnanime splendidezze vostre ebbi sempre. Di Vinezia, [1542, dopo il 16 aprile).

DCCCII

A LA SIGNORA BEATRICE PIA

Lodi. L meriti de le vostre nonché increate ma immaginabili virtú mi hanno posto l’animo in una stranissima spezie di confusione. Conciosiaché, parlandone, mi procaccio nome di presuntuoso e, tacendone, mi acquisto fama d’ignorante. Sarò stimato temerario entrando a ragionar di ciò che solo è lecito a dirne al divino Sperone, e dirammisi inavertito non iscrivendo di quel che, per essere comune debito d’ogni intelletto, scrive ciascuno che sa tener la penna ne la mano de lo ingegno. Ma, perché è meglio di fare e pentirsi che pentirsi e non fare, converso la modestia in ardire, mi arischio a sciór la lingua ne la vostra laude; e, oltre il tener poca quella assai che vi si dá per bocca di tutti gli inchiostri piú gloriosi, vi giudico degna degli onori che distinguono le cose immortali da le terrene. Imperoché non pur il mondo, ma voi stessa non sapereste desiderarvi altrimenti che voi vi siate; onde bisognaria, per riverirvi come si dee trovare uno atto di piú sommessione che la reverenza, conciosiaché non basta a tanto vostro valore il solamente inchinarlo. Ma, perché anche le maraviglie di Dio in cielo sopportono di essere essaltate nel modo che essalta la gente in terra, prendete ciò che si può per quel che si devria potere; ed, esultando nel pensare a le grazie de le quali risplendono le gravi qualitá che vi illustrano, rendetivi certa che abondate di cotanta perfezzion di essenza, che potreste, con il soverchio di tal dono, ridurre a bontá lo imperfetto de lo essere di tutto il sesso vostro. Di Vinezia.