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genitorsuo; peroché si fatta lezzione vi accenderá il petto col fuoco de la fortezza. L’eroica virtú de la quale, schifando il vizio de la timiditá e de l’audazia, vi si fermerá di maniera in mezzo al centro de l’animo, che la illustrissima Eccellenzia Vostra non sentirá piú gli accidenti de la passione.

Di Vinezia, il xo di decembre 1540. DT.X A MESSER GIOVANNI SANTA GIULIANA Commenta una poesia latina e un sonetto-strambotto di Aicardino Capodivacca, e prende da ciò occasione per ripetere che il poeta debba dir cose proprie e non imitare gli altri, lodando, a tal proposito, il Burchiello. Io ho ricevuto, amico carissimo, la vostra carta e i versi del Capodivacca. E, perché il presente dei versi di lui e de la carta di voi è grande, vi rendo tante grazie de l’un dono e de Tallro, quante lagrime mi trasse giá dagli occhi la dolcezza de le rise circa la baia de la canella, la beatitudine de la quale, per aver trionfato dentro al roverscio de la piú bella medaglia del mondo, oltre la leggenda, merita le lantpane e il tabernacolo con le imagi ni e con le tavolette intorno, come le reliquie di Roma nonché di Venezia. Egli è certo che la ciancia, che fa quel fatto al dictrovia degli anialati, mi saccomanno la metá del capogirlo; ma la novella de le nuove composizioni me ne svalisgiano in tutto. Peroché altro è l’avere inteso i bei tratti del Cardino magnifico e altro lo avergli Ietti. E, sappiate ch’io, che mi feci ognor beffe del gracchiare per in * bas» e per in «bus», mi son talmente imbertonato de la sua poesia per lettra, che delibero di gittarmi ne le braccia de la lingua romana del mio Priscianese, uomo di inaudita cortesia e bontade. E, tosto che io me ne senta caldo caldo, vo’ tòrmi tale iscorpacciata de lo endecasillabo cardinesco, che ne verrá pietá a le elegie