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DCCLXXI

A MESSER ORTENSIO TRANQUILLO

Lodi ed esortazioni a ridersi della cattiva fortuna. Se non che, tuttavia che io alzo gli occhi de la niente, io vi veggo sempre, l’assenzia vostra saria mal sopportata da me, che non invidio la dottrina di cui séte vaso, per non esser lecito di portare astio a uno spirito nel quale si è compiaciuto la natura e lo studio. Onde il voler esser tale è un cercar di non parer nulla, imperoché niente resta, chi brama di farsi il tutto, conciosiaché ogni cosa sarebbe colui che pareggiasse voi. Io parlo in quanto a le lettre, ne lo essercizio de le quali ottenete il principato, come anco nei costumi e ne la modestia, molto ben conosciuta dal dottissimo e generosissimo monsignor di Lange, gran gentiluomo e gran capitano. Certo che è miracolo la somma de le vertu, che vi arrichiscono d’un tesoro che non teme furto né ruggine. E, per piú vostra letizia, il lor sole apparisce nei giorni de la gioventú, che vi regge con le gravitá senili, onde devete non pur viver contento, ma gire altiero, avenga che veruna ricchezza, niuna degnitá e nessun favore è si ricco, si degno e si favorito. Ma, quando pur sia che vi paia duro che la Fortuna non prosperi i vostri meriti, ridetevene, conciosiaché ella, col mostrarvisi contraria, testimonia le virtú predette, peroché è di suo costume il perseguitarle in ogni tempo, in ogni luogo e in ogni persona.

Di Vinezia, il 12 di agosto 1542.